Ogni persona è “speciale”, a suo modo, ognuno di noi ha una o più caratteristiche fisiche, caratteriali, sociali, ecc che ci contraddistingue da chiunque altro; tuttavia, la maggior parte delle persone, nonostante le proprie caratteristiche più o meno rare, preferisce definirsi “una persona normale”, perché in fondo convivere con se stessi, con la propria persona, diventa la normalità.
“Normalità” è anche convivere con un disagio fisico o una malattia rara.Secondo il Global Genes, negli Stati Uniti 30 milioni di persone vivono con una delle 7000 malattie rare , in Europa 245,000 persone e nel mondo circa 350 milioni. Cifre da capogiro, ma se ragioniamo in percentuale agli abitanti del pianeta non è molto.
Eppure la disabilità non è soltanto ciò’ che riguarda le malattie rare, c’è molto e molto di più. Nel 2017, parlare di disabilità è ancora un tabù in tantissimi Paesi del mondo, e anche dove sembra esserci una particolare attenzione sociale, non è sempre così. Ci sono ancora troppi pregiudizi intrinsechi in convinzioni culturali errate, poca empatia nel capire le reali problematiche di chi vive un disagio fisico, sensoriale o fisico, e soluzioni di accessibilità decise da chi non vive il problema, ma si basa su dati troppo generici: questo è soprattutto un problema politico e amministrativo cioè delle istituzioni che spesso non tutelano in maniera corretta nonostante le leggi o la Convenzione Onu sui diritti della persona disabile.
L’unica soluzione per un’inversione di tendenza è parlare di disabilità nella maniera più “normale” possibile, partendo dall’educazione dei bambini ad un linguaggio più inclusivo dei mass media. Le persone con disabilità non sono super eroi se vogliono condurre una vita “normale”, studiando, lavorando, viaggiando, creandosi la propria rete di amicizie, vivendo le relazioni affettive, come qualunque persona.
Non serve a nulla compatire chi si lamenta della propria disabilità e non fa niente per migliorare la condizione di vita; va bene cercare di capire le problematiche ma la cosa migliore è sempre spronare le persone ad affrontare le proprie difficoltà, ma soprattutto suggerire soluzioni per fare qualcosa di concreto. Se un locale ha le scale chiedere al ristoratore il motivo per il quale non è accessibile e suggerire di renderlo tale, se una macchina senza contrassegno invalidi è sul posto delle persone disabili chiamare i vigili e via così…
A volte mi domando cosa succederebbe se per uno improvviso senso di civiltà, una mattina, ogni cittadino si svegliasse e boicottasse i locali, le stazioni o i negozi non a norma? Probabilmente a nessuno è davvero venuto in mente quest’idea se non ha mai vissuto il problema. E se un giorno, questo disagio, capitasse a voi o ai vostri cari?
Ieri pomeriggio ho dovuto portare il mio gatto al veterinario, uno studio medico dove Francesco, mio marito, aveva già portato Tyrion per un piccolo problema di salute. La dottoressa, molto gentile, aveva detto che se volevo accompagnarli c’era un’entrata dal retro dello studio dove anche io, in carrozzina, sarei potuta entrare. Quando siamo arrivati, la spiacevole sorpresa, 30 cm di gradino, manco avessi un caterpillar invece che una carrozzina elettrica! Ecco perche’ dico che spesso c’è un’errata concezione di cosa sia l’accessibilità.
Per sviluppare il senso di civiltà bisogna togliere la paura di ciò che non si conosce e per farlo, iniziare a spiegare la diversità e la disabilità in un contesto di normalità.
Conoscere ogni forma di “diversità” è un arricchimento personale ma soprattutto un modo per portare la nostra società ad un senso di civiltà che potrebbe servire a tutti.