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Quel fatidico metro di distanza

Vorrei proporvi questo interessante articolo che trovate su Vita.it sperando di far riflettere su come ci si dimentichi che non tutta la popolazione è autonoma nella propria gestione personale: le persone con disabilità, motoria o psichica, gli anziani, ma anche i bambini hanno bisogno di contatto fisico.

Inoltre, in un momento così delicato molte persone fragili, molti bambini, hanno necessità di essere rassicurati, di abbracci e carezze, di essere aiutati da vicino.

Ci sono minori, adulti e anziani che non hanno famiglie e/o vivono in comunità, quando si chiede di mantenere un metro di distanza tra le persone non tutti possono farlo. Perché le istituzioni non hanno mai parlato abbastanza di queste situazioni???!

E perché le persone che lavorano in ambito sanitario o a contatto con persone non autosufficienti non sono state da subito equipaggiate di mascherine, tute, camici, ecc per la propria sicurezza e dell’assistito? (vedi mio post precedente in cui parlo della mia esperienza con la cooperativa che fa assistenza domiciliare)

E’ la prima cosa che mi sono chiesta quando le istituzioni hanno iniziato a parlare di distanza di sicurezza, “ma come farò io o quanti dipendono dagli altri nelle azioni quotidiane??????!!” Personalmente ho ridotto l’assistenza all’osso e ormai gli aiuti fisici ricadono su mio marito oberato di lavoro, ma quante persone sono in questa situazione???? O anche peggio, molto peggio, per non parlare dei focolai nelle RSA, nei centri diurni, nei centri di assistenza, si poteva davvero limitare il danno e magari i contagi. Probabilmente ci sarebbero state meno vittime se solo chi di dovere invece di insistere sulle norme igieniche e di distanza quando il virus già girava da giorni, forse settimane, fosse stato lungimirante da subito. In fin dei conti le notizie dalla Cina parlavano chiaro da un po’, e c’era tutto il tempo per organizzarsi, per trovare gli equipaggiamenti adatti (e magari anche tamponi) in grande quantità. C’era tempo per ricordarsi che siamo prima di tutto umani e abbiamo bisogno di empatia, di comprensione, di umanità. Siamo parte di una società, dovremo essere solidali, mentre ora questo maledetto virus impone la morte nella solitudine e in sofferenza e la distanza tra le persone. Se ci avessimo pensato prima, avremo fatto digerire meglio le rigide imposizioni, avremo ricordato il senso di collettività e di responsabilità altrui e forse avremo colto meglio il significato delle campagne mediatiche lanciate a tappeto, avremo evitato di lasciare indietro qualcuno.

Per fortuna non tutto è perso, questa può essere anche un’ occasione per ripartire e far emergere certe problematiche. Mi auguro che non tra molto torneremo ad abbracciarci, e ad essere aiutati ……a meno di un metro.

Per approfondire, altro articolo di INTERNAZIONALE

Descrizione immagine: io e la piccola Leila abbracciate

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