La sma 3 è sicuramente la mia compagna di viaggio da sempre. da quando sono piccolina. E’ una problematica grave; già la mia mamma aveva una patologia invalidante che era la poliomielite. Ho vissuto con i nonni e poi sono stata con la mamma fino ai miei 18 anni; poi presa da un impeto di autodeterminazione ho deciso di provare ad andare a vivere da sola. Ho avuto la fortuna di vivere a Genova dove nel 2001 avevano costruito una casa famiglia, unica in Italia, per persone con patologie neuromuscolari.
Avevo intorno un ambiente giovanile e molto solare. Un progetto bello perché completamente diverso da come sarebbe un istituto; c’era un gruppo di volontari giovani e ho sviluppato belle amicizie. Poi ho iniziato a lavorare all’ospedale di Genova, un lavoro nella pubblica amministrazione, dopo aver fatto un corso di informatica. Giocavo anche a wheelchair hockey; è stato un periodo molto bello della mia vita perché mi ha aiutato a riempire un vuoto che avevo e che mi ha spinto a conoscere persone. Infatti ho conosciuto anche Francesco, un volontario di Monza che frequentava quell’ambito; prima ci siamo fidanzati e poi sposati a Milano. A livello lavorativo a Milano ho avuto molti problemi con l’ufficio di collocamento mirato perché è stato veramente un incubo. A causa di problemi burocratici ossia lungaggini varie, una posizione lavorativa che mi interessava, è stata occupata da altri. Ancora una volta tramite la mia associazione di riferimento vengo a sapere che il centro clinico Nemo cerca un amministrativo con competenze in ambito ospedaliero ossia il mio ambito di lavoro precedente. Un’occasione da non perdere, e vengo assunta da lì a poco tramite una cooperativa sociale. Avendo deciso di mettere su famiglia dovevamo far quadrare i conti e con le numerose spese era necessario che lavorassimo entrambi. Venendo da una famiglia disgregata, avevo il desiderio di averne una mia, unita. Perciò l’arrivo di un bambino sarebbe stato un sogno ma non era così facile.
E’ bello avere un figlio ma non è semplice perché ogni anno è una lotta per avere i fondi per la vita autonoma, quindi anche per assumere una persona. Tra una cosa e l’altra, un po’ a sorpresa è arrivata la nostra bambina Leila, ma abbiamo deciso comunque di continuare la gravidanza e di affrontare questa sfida che poi si è rivelata vincente. Leila è una magnifica bambina solare. Ma gli aiuti erano pochi; la nostra società non investe sulla maternità in generale, figuriamoci verso una mamma disabile! Anche perché avevo bisogno di aiuto sia per me e anche per la bambina. Ho avuto aiuti sporadici dalle mie amiche e da qualche famigliare, comunque ho dovuto assumere una persona e prima di trovare quella giusta ho impiegato tempo. Non posso fare nulla con Leila, prenderla in braccio o altro, quindi già vivo una frustrazione mia personale perché devo per forza chiedere agli altri e in più spesso gli altri tendono molto a giudicare e a dirti cosa devi fare. Ma certe esigenze che, magari per i normodotati possono sembrare banali, per chi è disabile non lo sono. Prima bisogna sempre ascoltare chi vive la disabilità sulla propria pelle; alcune persone che incontro si fermano a parlare con la bambina e non si rivolgono a me come la mamma. Insomma, non pensano che una persona disabile possa essere anche mamma. Mia figlia è ancora piccola, ha tre anni e mezzo ma credo che viva la mia disabilità come una cosa normale. Nel nuovo quartiere iniziano a conoscermi; al parco incontro tanti bambini che mi chiedono “come mai non cammini?”.
Spesso quando i bambini chiedono che cosa ho, i genitori dicono di non fare queste domande ma invece io rispondo tranquillamente; è importante che i bambini vivano la disabilità come qualcosa che fa parte della vita. Credo sia solo questione di allenare la mente delle persone alla diversità, a tutti i livelli e a tutte le età. Siamo arrivati su Marte ma abbiamo ancora molti tabù e preconcetti nei confronti della disabilità. Anche i mass-media tendono a farci sembrare persone con poteri straordinari ma io rivendico il mio diritto a essere una persona mediocre, magari anche antipatica come tutte le persone normali.
Non deve passare l’idea che le persone disabili possano raggiungere certi traguardi solo ricorrendo agli altri. E’ la società che deve fare un cambio di passo ossia io ho delle difficoltà oggettive, ma se la società mi dà gli strumenti giusti, posso vivere meglio. Quando si va in televisione a parlare di disabilità bisogna farlo raccontando sia le cose positive che quelle negative ma soprattutto bisogna raccontare la quotidianità. In un mondo dove i social fanno da padrone è molto facile trasmettere messaggi sbagliati. È importante che ci siano delle voci fuori dal coro che raccontino la disabilità da tutti i punti di vista evitando il pietismo. Qualcosa sta iniziando a cambiare ma la strada è molto lunga e finché non si arriverà a una vera inclusione totale, ci saranno sempre storie come la mia o come la tua e come quelle di tanti altri, che ci dobbiamo barcamenare in mezzo a una serie di ingiustizie e problemi. Sarebbe bello arrivare al punto che le persone disabili venissero valutate per quello che sono e per la loro capacità, ma il mondo cambia solo se siamo tutti uniti nel cercare il cambiamento. Se ognuno pensa solo a sé stesso non cambierà nulla. Con la pandemia speravo che le persone diventassero migliori e invece non è cambiato molto. Certo, rispetto a quando eravamo piccoli, la disabilità almeno adesso viene presa in considerazione ma non si pensa mai al fatto che è un problema che può colpire chiunque, motivo in più perché tutti ci impegniamo a migliorare la vita delle persone che vivono la disabilità tutti i giorni.
Sonia Veres
La storia di Sonia è proprio la dimostrazione che anche le persone disabili possono avere una famiglia. Sicuramente ci sono molti problemi da superare, per prima cosa trovare una casa e assumere qualcuno che possa aiutarti. Spesso si fa l’errore di pensare che automaticamente un marito o una moglie di una persona disabile debbano diventare assistenti personali. Ma sposarsi con una persona disabile non può significare votarsi al coniuge, per cui è fondamentale l’aiuto di un assistente personale. Come dice Sonia, bisogna sempre battagliare per ottenere i contributi per vivere la vita in modo autonomo. Se hai alle spalle delle associazioni, allora puoi contare anche sul loro sostegno per risolvere i problemi, altrimenti si è soli. Per questo è importante sensibilizzare di più le persone nei confronti della disabilità. Innanzitutto, come fa Sonia, raccontando anche ai bambini cosa vuol dire essere disabili per evitare che da grandi siano anche loro indifferenti alla disabilità. Un altro aspetto importante che può aiutare una persona disabile a contribuire all’economia famigliare è il lavoro. Purtroppo, come nel caso di Sonia, bisogna per forza appoggiarsi ad altri o alle associazioni perché, se aspettiamo l’ufficio di collocamento, quando ci offriranno un lavoro, saremo già passati a miglior vita. Siamo passati da una cultura che non parlava minimamente della disabilità, al mondo di oggi, in cui se ne parla, ma spesso in modo sbagliato. In televisione se ne parla spesso in modo pietistico, oppure come se i disabili facessero parte degli Avengers. Sarebbe importante che si raccontassero anche le storie di quei disabili che fanno vite normali, che fanno magari tante cose, pur affrontando numerosi ostacoli. Per fare un salto di qualità a livello comunicativo è importante per me che ogni persona disabile parli di disabilità, alcuni lo faranno in televisione, altri raccontando l’esperienza sportiva, altri scrivendo sui social…
Insomma, non importa con quale strumento, ma che ognuno ne parli. Solo in questo modo le persone potranno capire meglio cosa significa vivere la disabilità in tutte le sue forme. Molte volte nella mia vita mi è capitato di sentirmi dire che io posso essere un esempio per altre persone disabili, in realtà a me interessa di più spronare le persone a vivere la loro disabilità il più serenamente possibile e cercando di seguire le proprie attitudini e inclinazioni. Un aspetto che sicuramente fa arrabbiare è venire giudicati, ma capisco come vivere in prima persona la disabilità sia diverso e che perciò, da fuori, si possa avere una percezione sbagliata. Davvero bisognerebbe solo ascoltare e rispettare le nostre scelte e richieste, anche se non le si comprende del tutto. Solo in un secondo tempo, compresa meglio la situazione, si potranno dare dei consigli. Formare una famiglia, come hanno fatto Sonia e Francesco, è una sfida difficile ma nel loro caso questa scelta li ha resi felici. Sicuramente la vita delle persone disabili è come un gran premio della montagna nel giro d’Italia, con la differenza che non sai quale sarà la pendenza che dovrai affrontare. Però, alla fine, la salita finisce e inizia la discesa; rimane sempre il rischio di cadere, ma almeno avremo avuto la soddisfazione di aver raggiunto la vetta.
Mattia Abbate, l’autore di questa rubrica, è affetto da distrofia muscolare di Duchenne. “Questo spazio – dice – è nato per aiutare chi convive con difficoltà di vario genere ad affrontarle e offre alle persone sane un punto di vista diverso sulla realtà che le circonda”. Segnalate un problema o raccontate una storia positiva di disabilità all’indirizzo e-mail
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