Approfittando di un pomeriggio di calma in casa, ho deciso di vedere il tanto controverso film “Corro da te” con Pierfrancesco Favino e Miriam Leone.
Lei è una bellissima donna in carrozzina, lui un uomo di mezza età, eterno bambinone con una spiccata inclinazione ad essere un “latin lover”, nessuna relazione stabile e un giro di amici borghesi con cui vantarsi delle sue conquiste. La storia è molto banale…Favino, nel film è Gianni, incontra Chiara , violoncellista, piena di impegni e passioni, disabile a causa di una lesione lombare e finisce per innamorarsene dopo diverse vicissitudini buffe da totale ignorante sulla questione disabilità. Il focus è proprio questo, la divergenza che esiste tra persone disabili e non, per una questione di mobilità diversa ma anche di vergogna davanti agli occhi degli altri. Quando, però, entrano in gioco i sentimenti, tutto può passare in secondo piano e anche le più complicate relazioni possono generare storie di vita e d’amore. È una commedia romantica, niente di più. E non pretendevo di piu’. Il film, ispirato ad una commedia francese, “Tout le monde debout”, ha anche aspetti positivi e devo dire che in alcune situazioni mi ci sono rivista, pur non essendo una stragnocca con le ruote!
Mi aveva incuriosito il fatto che una parte della comunità disabile italiana ne aveva denunciato alcune battute abiliste oltre che alcune esternazioni superficiali degli attori e del regista quando fu presentato il film nelle sale. In effetti, parlare di disabilità quando non la si vive normalmente, puo’ portare a facili gaffe.
Porto un esempio di battuta fuori luogo: la protagonista, Chiara, ad un certo punto del film si confida con la sorella dicendo che finalmente aveva trovato un uomo che la guardasse tutta intera e non come una donna a metà. Molti attivisti si sono chiesti come fosse possibile dare allo spettatore una visione così stereotipata di un corpo disabile. La lotta all’abilismo interiorizzato è una questione degli ultimi anni. I “disability studies” è una disciplina sociale e politica che ha preso piede in Italia solo da poco, molte persone stanno raggiungendo ora una certa consapevolezza del valore della propria individualità. Quando ero una giovane donna, mi è capitato di pensare la stessa cosa, tante volte ho incontrato ragazzi che non sono mai andati oltre, pur essendoci simpatia reciproca, non hanno saputo cogliere la mia interezza. Questo accade ancora, le persone che sanno vedere la propria unicità, sono poche, e soprattutto, secondo me, sono coloro che hanno trovato un certo equilibrio interiore grazie al quale danno meno importanza ai cliché imposti dalla società. Mi piacerebbe vedere un livello di integrazione così alto da non doversi mai sentirsi non completi, ma siamo ancora indietro. Ci sentiamo a metà perché è così che ci fanno sentire, sempre fuori luogo, lo siamo noi persone che abbiamo una disabilità motoria, lo sono le persone con disabilità intellettive, lo sono le persone che non hanno un peso nella norma (quale norma, poi?), lo sono coloro che stanno facendo una transizione sessuale, a volte lo sono anche le persone che non hanno mai raggiunto un autostima e non si identificano nel proprio corpo, ecc ecc. Siamo sirene in un mare di paure e sono queste che ci allontanano dagli altri.
Un altro aspetto che mi ha colpito nella storia tra i protagonisti, è che Gianni si finge disabile per conoscere Chiara e la sorella di quest’ultima decide di organizzare un incontro tra i due perché uniti dalla stessa sofferenza! Ovviamente sono ironica, come lo è il regista. Conosco coppie disabili felicemente sposate, come coppie dove uno solo dei due ha patologie pregresse o problemi fisici e/o psichici, le relazioni umane sono complesse, non sono le esperienze di malattia comuni a poter definire una storia d’amore.
Passiamo alla morale del film, molto frettolosa e poco sensata. Gianni, con tutta la sua personalità apparentemente frivola, viene “salvato” da una persona che in quanto disabile è descritta come un personaggio puro, colto, ironico, eccezionale.. No, non è così la realtà, ogni persona, in quanto tale ha il proprio modo di vivere la disabilità, la continua narrazione del “disabile che fa cose, wow, e le fa benissimo, che coraggio”, è estremamente offensivo per una comunità inclusiva, ma anche irrispettoso per chi deve invece ancora fare un percorso di accettazione.
Concludo che è un vero peccato, ancora una volta, non aver cercato un’attrice realmente disabile, il mondo del cinema è molto indietro in tal senso, lo è con la rappresentazione reale delle diversità e lo è nel coltivare talenti che non siano disabili. Cosa ci sarebbe stato di più realistico che fare limonare una giovane donna in carrozzina con Favino? Peccato, un’altra occasione persa.

Chiedo che Fedez rimoduli la sua affermazione sulle donne disabili, è semplicemente vergognoso ciò che dice!!!
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